sabato 12 febbraio 2011

Lakers, Kobe suona la sveglia

Beh, c'è stata Los Angeles-Boston, non è che potevamo passarla sotto silenzio. Per noi il solito Karim, anzi Kareem, Nafea.

Si sa, gli americani quando devono fare qualcosa, soprattutto se si tratta di spettacolo, la fanno in grande.
Capita così che spesso le esigenze dello show-business e delle grandi agenzie televisive si sovrappongano a quelle degli sportivi.
Troppo frequentemente un’organizzazione “tv-oriented” ha falsato il risultato di un evento sportivo, più o meno in maniera eclatante. Esempi facili potrebbero essere gli US open che costringono gli ultimi quattro giocatori rimasti a disputare due match in (anche meno di) 24 ore mettendo semifinali e finale di sabato e domenica.
La Nba presenta a sua volta  casi di questo genere, con i San Antonio Spurs che sono costretti a lunghi road-trip dalla presenza del Rodeo (dopotutto chissenefrega se hai una squadra da titolo quando puoi vedere all’opera dei veri cowboy) all’AT&T Center.
Molto più raffinato il motivo per cui i Lakers praticamente ogni Febbraio si trovano a giocare diverse partite in trasferta: lo Staples Center, palazzetto (per modo di dire) casalingo dei gialloviola, è teatro dei Grammy Award, gli Oscar della musica.
Questi “viaggi forzati” sono spesso usati come cartina al tornasole per verificare la forma della squadra e quest’anno viste le difficoltà finora mostrate non fa eccezione.
Soprattutto le ultime due partite che hanno visto le vittorie dei campioni in carica contro i Boston Celtics ed i New York Knicks hanno mandato alcuni segnali in giro per la lega.
Nonostante tutti gli addetti i lavori, tutti gli avversari e praticamente chiunque segua un minimo il campionato siano convinti che alla fine di giugno saranno proprio i losangeleni a mettersi l’anello alcuni dubbi sono sorti, o stanno sorgendo, visti i risultati piuttosto scadenti contro le squadre da titolo (0-6 prima di battere Boston).
Effettivamente se il tuo GM parla di trade e uno dei tuoi giocatori (Artest) chiede a gran voce di andarsene salvo poi dire “Chi io? Sempre piaciuta Los Angeles!”, qualcosa che non va c’è.
Però bisogna anche cercare di inserire il tutto in un contesto più ampio.
Chiaramente se tutto ciò fosse successo in quel di Orlando o, peggio ancora a Boston, avrebbe avuto un ritorno negativo davvero devastante, ma non a Los Angeles, non ai Lakers, il regno del nonsense nello sport professionistico.
Soprattutto sotto la reggenza del Maestro Zen, vero e proprio capo della franchigia, molte situazioni a rischio si sono trasformate in esaltanti corse per il titolo e dovendo fare un paragone, questa stagione assomiglia in maniera inquietante all’ultima stagione con i Bulls vincitori (1998) in cui Jordan, probabilmente conscio di essere all’ultima stagione con il titolo come obbiettivo, elevò ad un nuovo livello la parola grandezza.
Una risposta le ultime partite l’hanno data: il Mamba è davvero uscito dalla teca per suonare la sveglia ai compagni. I segnali c’erano da un po’, era solo questione di tempo ed in effetti dopo quattro mesi passati, relativamente, in sordina Kobe Bryant ha tirato fuori la faccia cattiva, la faccia da Playoffs.
Due vittorie non vogliono dir niente, e sicuramente non hanno reso i Lakers la miglior squadra della lega, ma hanno fatto vedere che il signor Bistecca, nonostante la schiena, nonostante le ginocchia nonostante tutto, è ancora il più forte.
E serviva, altrochè se serviva, perché ci si cominciava a scordare del Mamba e di quello che significa averlo contro, su entrambi i lati del campo.
Nella partita con i Celtics, vinta tra l’altro con i soliti tempi scenici shakespeariani giusto per rovinare la serata in cui Ray Allen diventa ufficialmente il miglior tiratore da tre della storia, Kobe ha letteralmente smembrato offensivamente e difensivamente gli avversari, finendoli con tre canestri di fila al termine del quarto quarto.
Bryant ha fatto vedere quanto sia ancora capace di coinvolgere gli altri per ventiquattro minuti (1/3 per 2 punti nei primi due quarti) prima di mettersi in proprio e chiudere con i propri canestri.
La scorsa notte invece ha tirato giù 23 punti nel primo tempo (19 nel primo quarto) per mettere subito in chiaro le cose aiutato dai suoi uomini di fiducia: Odom e Gasol.
Restando il fatto che una trade, che coinvolga Ron Artest o, molto più probabilmente Andrew Bynum, sembra imminente ciò che i Lakers ci hanno fatto vedere è rassicurante.
C’è anche da dire, riguardo la trade, che sia Bryant che Gasol (geniale Phil Jackson:”Non mi disturbate con queste cose”) sono decisamente contrari a lasciar andare Bynum, elemento centrale della difesa con l’intimidazione che riesce a dare a centro area.
Punto fondamentale per i Lakers è che questo Bryant è quello che (riprendendo le parole di Federico Buffa) riesce a scatenare un sacro e religioso terrore negli avversari, quello che riesce a fare quarti da 30 punti, quello del quale hai paura negli ultimi minuti della partita, quello che ti sbrana su entrambi i lati del campo, Quello che può vincere il sesto titolo e completare il secondo three-peat.

Nessun commento: