venerdì 3 giugno 2011

La Partita Perfetta- prima parte


E succederà che guarderanno il risultato di domenica e da lì traranno le loro conclusioni. Stupidi e ciechi, che non sanno che la storia è già successa.
Ci sono momenti in cui quella cosa complicata ed un po’ da psicopatici che si chiama tennis si manifesta nel suo significato più pieno. Devono esserci due grandi interpreti entrambi al meglio, affinché succeda. Deve esserci un grande campo. Deve esserci un grande pubblico. Deve esserci un campione che è stato chiamato the greatest tante volte, e forse altrettante volte questa “greatestosità” è stata messa in dubbio. Deve esserci questo campione, con sulle spalle i dubbi del mondo e nello stomaco l’orgoglio del vero numero 1.

Deve esserci un fiero avversario, anche, però. Uno abbastanza sfacciato da pensare di poterli mettere in fila, i più grandi del momento. Ma non solo a parole, come ha fatto nella prima parte della sua carriera, ma con i fatti di 41 match filati senza perdere. Insomma, deve esserci il grande campione bollato come vecchio e deve esserci il giovane campione che si gioca molto, in quella partita. E poi deve esserci un pubblico capace di sognare. E signori, non ci sono storie: se c’è un posto per imparare a sognare, quello è Parigi.
Quando Federer e Djokovic pasticciano con i break subito ad inizio match, pensi: ecco, non ci siamo. E’ uno di quei match pieni di errori che finiscono in tre set. Ma basta avere pazienza, e la maestosità si dispiega. Il primo set. Il primo set ha fatto gridare di piacere Fabrice Santoro in cabina di commento tv. La palla passa a pochi centimetri dalla rete, cattiva, tesa. Niente cazzate, niente rotazioni esasperate. Niente colpi a prender tempo. O si fa il punto o si muore. Federer, il più vecchio dei due, ha deciso di metterla sul fisico. Sul servizio e sul fisico. Sciagurato, si può pensare. Geniale, si pensa mentre il match procede.
La faccia di Djokovic è furiosa. La faccia dell’imprevisto. La faccia del giocattolo che si è rotto. La faccia di chi si sta vedendo passare una serie di numeri importanti davanti agli occhi e non riesce ad afferrarli. E’ lì che Federer ha vinto il match. C’è un bellissimo verso di T.S. Eliot.
“I Tiresia, I foresuffered all”
Federer sa cosa sta passando nella mente di Djokovic. Federer sa  perché ha pre-sofferto tutto. Federer sa che non si farà intenerire. Non oggi. Troppo sangue è stato versato. E poi non si può: non si può per quel pubblico straordinario che li circonda. Quel pubblico che risponde colpo su colpo ai tifosi serbi con un mare di amore per lo svizzero. Eppure Djokovic è un fiero combattente. Così quando Federer si mette giusto un attimo in poltrona, quando per pochi secondi, ad inizio terzo set, si dimentica che ci sono dei punti esclamativi da mettere eccolo che risale su. Vince il terzo. E il quarto è, semplicemente, una carneficina. Si vedono cose pazzesche, sparse per il match. Dritti di Federer che il serbo neanche prova a raggiungere. Un rovescio lungolinea di solo polso che, semplicemente, NON HA SENSO.
E poi Federer vede la sciagura in faccia, quando sul 4 pari del quarto il servizio lo abbandona. Sale sopra Nole, sente il sangue. Ma basta un campo campo per ricomporsi. Basta uno scambio duro portato a casa. Come a dire “ragazzino, io ne ho ancora. Tu?”
Si arriva al tie-break perché è l’unico rifugio razionale in uno sport che molto spesso razionale non lo è. Roger va in fuga. Roger serve da dio. Sono tre matchpoint. Not yet dice Djokovic. Not in my house, dice Nole. Te la devi vincere sul tuo servizio. E allora i primi due matchpoint se ne vanno. Come a New York, Ricordi New York, Roger? Quando avesti paura? Ci stai pensando mentre vai a servire sul terzo matchpoint. Forse. Però oggi è un’altra storia. Oggi servi una prima su quella cazzo di T. Ace. Mohammed Ali che grida “I am the greatest”. Ecco cosa è quell’ace.

4 commenti:

Rossetti ha detto...

:,) merci

Unknown ha detto...

Semplicemente, grazie! Soprattutto per T.S.Eliot: le cinque parole meglio usate per spiegare lo spettacolo visto ieri sera. Chapeau!

Danièe ha detto...

Grandissimo pezzo. Ne sentivamo il bisogno.

Nicola ha detto...

Arriva davanti la porta di casa correndo, trafelatissimo. Si è bevuto i 66 scalini che portano al suo appartamento al terzo piano in un sorso. Apre l'uscio in un battibaleno, dimenticandolo aperto. Non posa neanche la borsa che si porta al lavoro. L'attenzione è subito rivolta verso lo schermo piatto Sony posto in mezzo al salotto. Davanti al fu tubo catodico c'è suo figlio, seduto sul divano. "Quanto stanno?", chiede con la voce rotta dall'emozione e dalla fatica. "E' avanti 7-6 4-1 Roger, babbo". Un mezzo sorriso si manifesta sul suo volto, intrappolato in una smorfia tiratissima e visibilmente teso. Resta in piedi fino al termine del secondo set, manco si spoglia, manco si degna di salutare la moglie, che, nel frattempo, sta apparecchiando. Ora di cena, tutti a tavola. Tutti, si fa per dire. Perché anche lui si siede, accanto al figlio e davanti alla consorte, ma la mente, il corpo e, toh, pure l'anima, sono in quello schermo. Si susseguono le portate: primo, secondo, frutta. Le trangugia come un automa. Non un fiato, non una sillaba escono dalle sue labbra. Terzo set: Nole 6-3. Il volto si fa ancora più tirato, gli occhi diventano due fessure, la fronte comincia a imperlarsi di goccioline di sudore. Finalmente si toglie gli abiti da lavoro e si siede sul divano, col figlio accanto. Il quarto set è un'agonia: sbuffi, sussulti, imprecazioni a mezza bocca. Ormai è madido, ogni poro del suo corpo trasuda tifo elvetico. La maglietta è diventata uno straccio, sotto il sedere si forma una pozza d'acqua, che la moglie sarà poi costretta ad asciugare più tardi. Le voci di Ferrero e Ocleppo provengono da un'altra dimensione per lui, ormai non le sente più: è trance totale, come quella che si respira sullo Chatrier. Break Nole, controbreak Roger, 6-5, 6-6. Tie-break. Ogni punto è accompagnato da dei lievi movimenti sussultori delle gambe, come a voler spingere quella dannata pallina gialla un po' più forte, un po' più veloce, un po' più angolata verso il campo del serbo. Match point Federer: ace. Non un urlo, non un sussulto. Solo un: "Grande Roger", sbiascicato tra le labbra ormai private da ore della normale salivazione.
Grazie babbo, ti stimo troppo.

CASA GENNAI, 3 GIUGNO 2011, FEDERER - DJOKOVIC