martedì 18 gennaio 2011

E leggetelo su: Wallace e i bambini

Riprendendo in mano questo blog,  ho pensato che scrivere qualcosa su DFW fosse un bel modo, di riprendere in mano questo blog(un "repetita" alla Paolo Nori ci sta subito bene). David Foster Wallace è uno dei SLC della mia vita (Senza Lui Chissà) e quindi parlarne è un buon modo di scrivere un post definitorio, che vuole essere anche una specie di rubrica con consigli sparsi di lettura.


Qui però non voglio parlare di DFW in generale, ma invitare a leggere una specifica cosa di DFW: i bambini. Due bambini particolari. Il commovente bambino vittima di "Incarnazioni di Bambini Bruciati" e il bambino "very merda" dell'estratto del suo romanzo incompleto che probabilmente uscirà postumo.
Tale bambino era stato presentato al pubblico nel corso delle "Conversazioni" a Capri, dove Wallace era stato ospite nella significativa estate del 2006 (ad ascoltarlo c'era Jonathan Franzen, ad accompagnarlo la dolcissima moglie e lui era reduce dall'esperienza di Wimbledon dove aveva concepito per il New York Times il saggio "Federer as a religious experience"... tutto ciò per spiegare il termine "significativa"). Tale bambino appariva appunto in una parte di qualcosa che, come lo stesso DWF annunciava, non era nemmeno "halfway finished yet". Io quel bambino l'ho potuto leggere grazie alla traduzione della preziosissima (per noi wallaceiani) Martina Testa, ma l'ho anche apprezzato in lingua originale, dopo. Bene, perchè voglio parlare di quei due bambini.? Perchè sono due cose totalmente diverse fra loro e quando qualcuno decide di mollarla lì come ha fatto DWF ti chiedi sempre, non puoi fare a meno di chiedertelo, se la differente dimensionalità e il differente carattere dei due bambini non rifletessero qualcosa di mutato anche in DWF. Faccio insomma quello che fanno tutti e che proprio non si dovrebbe fare (o forse sì, non lo so): inferire l'autore dal confronto con i suoi personaggi. Perchè Wallace era un marito, quando è morto, ma non ci sono particolari segnali che volesse essere anche un padre. E allora è troppo facile pensare a quel passaggio di "Incarnazioni" in cui dice:
"Se non avete mai pianto e volete piangere, fate un figlio. Ti spezza il cuore..." e giù andare nella straziante descrizione della bruciatore del figlio del protagonista del racconto. Di quel bimbo, in un crescendo di dolore, si vedono: le bruciature, l'odore (è una delle cose spaventose del racconto, questa di farti vedere l'odore), il pianto che in certi momenti sembra riempire qualsiasi cosa, uscire la pagina ed occupare tutto lo spazio del mondo e del tuo corpo. Se non avete mai pianto e volete piangere, fate un figlio. Quanto amore c'è, quanta sensibilità nascosta ci sono in una frase del genere. Poi, arriva l'altro bambino. Un bambino che fa paura:
"Il Team Manager del mio team di revisori fiscali e la moglie hanno un bambino di pochi mesi che posso soltanto definire: feroce. La sua espressione è feroce, il suo comportamento è feroce, il modo in cui ti guarda da dietro il biberon, il ciuccio o il dito: feroce, intimidatorio, aggressivo. Non l'ho mai sentito piangere. Quando poppa o dorme il viso pallido gli si arrossa, il che lo fa sembrare ancora più feroce. Le volte che il nostro Team Manager [...]se lo portava dietro[...] appeso come un bebè indiano ad un'imbracatura di nylon sulla schiena, pareva che il bambino lo cavalcasse come fa un mahib con un elefante. Se ne stava lì appeso e irradiava un senso di autorità
Un bambino che fa paura e che fa ridere, nel suo rapporto di autorità nei confronti degli impiegati del team di lavoro di suo padre. Una specie di situazione fantozziana in cui il bambino adulto sottomette con l'atteggiamento e, più tardi nel racconto, con il comportamento, gli impiegati protagonisti del libro.
Esseri misteriosi che possono spezzarti il cuore o dominare la tua esistenza. Questo sembrano essere i bambini di DWF. Nei miei racconti ho utilizzato bambini, ma più secondo la tecnica di King in "The Body", che non secondo questo approccio, molto più efficace devo dire, di oggetto non identificato e fuori dal tuo controllo. Il bambino è visto cioè come un nucleo che irradia qualcosa dal quale non puoi difenderti.
Questo rende i due bambini così differenti ma anche(cit.) così uguali. E' come se rappresentassero un mistero di cui DFW sentiva il fascino. Sono una categoria della narrazione che è potente in sé e che è molto diversa dalla modaiola e ormai un pò stucchevole categoria dei personaggi adulti con la sindrome di Peter Pan. Una cosa è scrivere di un personaggio che si rifiuta di crescere. Altra cosa è scrivere di un bambino. Il secondo credo sia molto più interessante del primo, ma quello che mi chiedo è se questo passaggio da bambino-vittima a bambino-carnefice nei racconti di DFW significhi qualcosa. Forse no.  Ma vi invito a leggerli entrambi.
Oblio
Un Re Pallido

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