lunedì 5 agosto 2013

L'isola dell'assenza ("Le rockstar non muiono mai" by Daniele Pasquini, Intermezzi Editore)


Gli dei non possono morire. E quindi dove vanno, quando fanno perdere le loro tracce?
Piccolo consiglio di lettura estivo: uno scrittore bravo, una casa editrice eccezionale :-)
La recensione la si puo' trovare anche sull'e-magazine "e." del mese di luglio. Gianluca Comuniello


Kurt Cobain. Jim Morrison. Bob Dylan. John Lennon. Elvis Presley.

No, non è il super gruppo messo su nell'aldilà da un manager molto scaltro per fare una vagonata di soldi. Sono semplicemente gli abitanti di un'isola molto speciale. L'isola in cui si sono nascosti i grandi del rock secondo Daniele Pasquini. 


Fedele all'adagio secondo il quale "le rockstar non muoiono mai", Pasquini si è chiesto se la frase non potesse essere presa alla lettera. Cioè niente retorica del "Kurt vivrà sempre nel cuore dei suoi fan" oppure "di Morrison resteranno le canzoni, splendide poesie". No, niente buonismo in salsa rock di questo genere. Quelli bravi a spiegare come si faccia a scrivere narrativa dicono spesso che tutto parte dalla domanda "what if?"... "E se?"

Daniele sceglie di rendere centrale e letteralmente vera nel suo "E se?" l'abusata frase "le rockstar non muoiono mai" e costruirci intorno il suo gradevole narrare, pieno di amore per la musica.

Quindi scopriamo che Joy, venerata rockstar del prossimo futuro (gli eventi si svolgono fra qualche anno) si fa tentare da un personaggio bizzarro che fa un'offerta altrettanto bizzarra: quella di poter sparire dai radar della celebrità. Niente più fans accaniti davanti casa, niente più pressione dei media, la possibilità di creare la propria musica solo per sè stessi. Joy tituba ma poi accetta. Un finto incidente aereo lo catapulta in un'isoletta al largo del Pacifico dove vivrà con i personaggi summenzionati, lontani dai clamori e dalle insidie dello stardom.

Si, ma poi? E' il non saper riempire il vuoto lasciato da questa domanda che spingerà Joy, passato lo stordimento iniziale, verso una scelta drastica e sorprendente.

Il racconto scorre via veloce e piacevole, come tutte le cose di Pasquini che ho avuto la fortuna di leggere finora. L'interesse maggiore sta a mio avviso nelle domande implicite che il testo pone a noi lettori. Prima fra tutte: come riusciamo a relazionarci con l'assenza, noi abitanti del terzo millennio? Sembra una domandona da contenitore culturale intellattualoide, ma viene fuori spontanea mentre si leggono le sessanta pagine del racconto. Ed è una domanda interessante sia dal punto di vista del fan che della celebrità. Del fan: perchè se un tempo c'erano solo i dischi e se andava bene un'intervista mal tradotta per avere qualche notizia della tua rockstar di riferimento, ora abbiamo tutto (mancherebbero rock star degne di questo nome, ma è un altro discorso): quante volte va al cesso, con chi va a letto, quando, perchè etc. etc.

Quindi la prima domanda sull'assenza ha per oggetto il fan: come si relaziona con l'improvvisa perdita di senso di un importante spazio della sua vita prima occupato dal suo musicista preferito? Quale è il succedaneo migliore? Sostituirlo con altro o credere che sia ancora là, nascosto da qualche parte, per quanto improbabile sembri come ipotesi?

La seconda domanda sull'assenza, quella che Pasquini affronta nel suo libro, riguarda la star: come reagisce quando passa dalla totale attenzione alla totale mancanza della stessa? Se pensiamo a Cobain concludiamo che probabilmente era la benedizione che cercava. Forse anche Lennon. Ma è sempre vero? Nel senso: ci sono state nella storia del rock delle stelle che nutrivano il loro talento proprio con la pressione che milioni di persone che ti guardano in qualsiasi momento ti mettono addosso? Joy sembra una di queste e diventa quindi una sorta di paradigma del musicista "social": quello che non puo' fare a meno di sentirsi impigliato in una rete di celebrità, per quanto soffocante.

Un'altra domanda interessante posta dalla lettura di Pasquini riguarda l'arte. In un passaggio del racconto infatti dice che su quell'isola era concentrato il meglio dell'arte del Novecento. E forse un po' è vero. Nel senso che i nomi citati all'inizio hanno scosso le fondamenta del ventesimo secolo alla pari di altri personaggi ai quali affibbiamo con più disinvoltura l'etichetta di Artista con la A maiuscola. Perchè pero', nonostante una sdoganamento più accentuato della cosiddetta cultura bassa, i vari Kurt, Bob, John, Jimi, non stanno nello stesso Pantheon dei Picasso, Munch, Hemingway e via dicendo? Perchè ci sono ancora G.I.I. (Giornalisti Imbecilli Imperanti) che li accostano più facilmente ad una Lady Gaga che ad un Van Gogh? Ecco, su questo mi piacerebbe sentire la risposta di Pasquini. E vorrei dirgli che anche a me alcuni degli abitanti di quell'isola mancano un sacco.

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